Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/149

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Non so come ’l giudeo garrir qui vaglia
ch’abbia rimosso quel precetto antico.
Stassi nel seggio suo né lo stravaglia
né smovelo quest’altro ch’or vi dico.
Il buon scultor che l’omicidio intaglia
finge com’esser dé’ l’uom, eh’ è nemico:
bruttagli il viso e attoscagli la lingua
dond’esca la cagion che ’l frate estingua.
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Però tu ch’ai Vangelio mio t’accingi
per fartivi di me fedel seguace,
guarda ch’offrendo al tempio non attingi
l’altar di Dio, se la disciolta pace
del tuo fratello in prima non ravvingi,
s’avien ti stia ne l’ira pertinace;
ch’assai fra voi piú Dio concordia chiede
che quante gregge il tempio suo gli fiede.
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Ma s’alcun forse trovi si perverso
che teco ingiustamente voglia lite,
e proveduto chiamati lá verso
dove le cause vostre sian udite,
disponti via piú tosto d’aver perso
ciò ch’esso perder dé’, che mai sian trite
del tribunal le scale a far contesa
ed in prigion ne paghi poi la spesa.
35
Quinci de l’uman sangue il danno pende;
quel de l’onor, che ’mporta piú, succede.
Natura, non che legge, ti contende
donna toccar che sia sott’altrui fede;
onde chi con effetto ciò trascende
da sassi morto fia senza mercede.
Or dico, chi la moglie altrui sol brama,
giá, dentro il core, adultero si chiama.