Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/148

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Al medico sta ben nudrir l’infermo,
anzi purgar con cibi orrendi e schivi,
né usar vi può di questo meglior schermo
acciò di vita il tristo umor noi privi;
ma poi che ’l rende in esser lieto e fermo,
cessan quei sughi strani allor nocivi.
Varian gli studi al variar de’ tempi:
cui giovan le parole, cui gli essempi.
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Or dunque acciò eh’ inprima conosciate
qual differenzia ch’eggio fra gli miei
seguaci e quei di Mése di bontate
(io parlo agli altri si come a’ giudei),
diròvi chiaro: Se non abondate
piú di giusticcia che essi farisei,
che scribi piú, non son per farvi torto,
se del mio regno non corrovvi in porto !
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Che non s’uccida è scritto per mandato
de’ piú solenni, e n’ ha giudiccio cura.
Qual popol, dite, prego, è si ciecato,
ch’a questo far non torcalo natura?
Pur crede il fariseo che ’n ciò montato
sia sopra di giusticcia, e non si cura
un grado piú levarsi a l’alta cima
d’amor che sopra legge altrui sublima.
31
Però vi spiano che non sol chi ancide,
ma chi s’adira in voglia ferma e certa
d’ancider suo fratello e vi s’asside,
costui non men de l’omicidio merta
d’esser punito; anzi dirò: chi stride
con voce d’ ira, o pur con fronte aperta
o simulata il beffa e n’ha diletto,
sia del concilio al tribunal suggetto!