Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/181

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40
Ch’entrate a me, Signore? indegno sono!
voi santo e margarita, io cane e porco;
voi del Padre splendor, voi sommo buono;
10 tenebroso e sommamente sporco !
Di che non merto tanto, e questo duono
s’impetro pur da voi, di tal vigor cognosco vostre parole, che lontano
una si dica: — Il servo mio fia sano ! —
41
Che s’io, vii uomo a Cesare supposto,
compitamente i suoi precetti adempio,
né solamente ubedir lui m’accosto,
ma tengo molti servi, c’hanno essempio
da me di far ciò che per me gli è imposto,
piú voi dovete commandar, che ’l tempio
del ciel fondaste e cose tante e belle,
ch’ad ubedirvi son si pronte e snelle! —
42
Allor di tal fiduccia il gran prudente,
quantunque pria nel senso impressa l’abbia,
meravigliossi in vista accortamente,
acciò che del giudeo l’enfiata rabbia,
11 cuor ciecato e l’ostinata mente
purgasse come morbo, piú di scabbia,
piú di lebra funesto, il qual vedea
fatti si degni, e pur non gli credea!
43
Vede l’ebreo superbo, ingrata prole,
al contar gli anni, al reai ceppo, ai segni,
esser costui quel l’aspettato Sole
che i rai dovea partir del mondo ai regni.
Vede, ma non veder quel falso vuole,
né di voler veder eh ’alcun il degni:
però Iesú qui gli ebbe a la sua rete,
non importuni a udir quel ch’udirete.