Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/241

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Donde potean intender che non segni
se non esterni avevan di dottrina,
ma che ’n la scorza, in guisa d’arsi legni,
non ebber suco mai di disciplina;
ché, quando in le Scritture fosser degni
di ben spiar la volontá divina,
non gli verrebbon domandare inanti
cose talor, che sanno ancor gl’infanti!
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Però che, quando i corpi, rapicciati
con Palme lor beate, andranno in cielo,
degli angeli non men glorificati,
avran si come stella ciascun pelo;
non fie pivi lor mistier che maritati
sian ambo i sessi, ché ’l corporeo velo
sará piú d’un bel vetro trasparente,
duono ch’ai generar è impertinente.
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Allora i farisei, vedendo sciolto
e sparso il primo ed il secondo laccio,
vengono al terzo, ch’un di lor, piú molto
duro di sasso e freddo piú di ghiaccio,
mandano a lui, come sòl far l’occulto
nemico che dá il colpo e cela il braccio.
Vien esso e dice: — Precettor leale,
dimmi qual sia ’l mandato principale. —
35
Il gran cortese non gli occulta il vero,
ch’almeno, s’ai ferrigni cuor non giova,
giovi a la turba nonch’a Toma e Piero
e gli egri sensi al bene oprar commova:
gli spone ch’amar Dio s’è lo primiero
divin commandamento, e poi gli prova
di questo e d’amar l’uom quanto se stesso,
prender la legge coi profeti appresso.