Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/247

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Vedendo il tuo Signor fatt’esser strazio
di te, qual di comun selva non Tassi,
piú d’un servo mandò fra breve spazio
agli aratori tuoi vezzosi e grassi;
ma il lor desio, non mai di sangue sazio,
gli armò sempre le man di ferro e sassi,
perché, d’Abel scendendo a Gieremia,
tutti gli ancise infino a Zacaria.
57
Sostenne il Padre mio le lor tant’onte
molti, molt’anni e secoli fin ora:
acciò che dunque ad alto tu sormonte
di tal lordura e ’n te lor colpa muora,
ti manda il proprio figlio giú dal monte
in questa valle, che ti tragga fuora
de gli adultèri tuoi, de le malnate
tue spine tante a la meglior pietate. —
58
Cosi parlando, tuttavia non puote
non mandar fuor per gli occhi alcune stille:
piagne l’Amore umano, e da le gote
movel pietá, che lagrime distille;
poi del bel viso le serene note
ritorna, e con parole piú tranquille
comincia i suoi figliuoli a confortare,
di pensier tempestosi fatti un mare.
59
Fu schietto quel parlar, che ben dovea
rallentar gli odii e farisaiche invidie;
ma si corrotta è lor natura e rea,
si dure ed ostinate lor perfidie,
ch’arrabbiati vanno ove sedea
Caifa con gli altri ad integrar le insidie,
finché ’l lupo tornato fra gli agnelli,
Giuda, dia lo pastore in mano a quelli.
T. Folengo, Opere italiane - n.
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