Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/250

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— Dormite, o voi pastori, e non v’ incaglia
d’aver nome venale e mercenaro,
ch’ornai sia giusto vender fieno e paglia
ove gli antichi in spirito adoráro?
Qual maggior fallo, dite, il vostro eguaglia,
che sopportate al volgo temeraro
far l’alma chiesa, ove adorar gli padri,
piazza di mercator, speco di ladri? —
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Ché se ’l Fonte, se ’l Mar de l’amorosa
benignitá non puote non turbarsi
veder nel tempio suo piú d’una cosa
in guisa di mercato a prezzo darsi,
e la noiosa, tolte alcune corde,
turba cacciò, lasciando sconci e sparsi
banchi, mense, colombe, agnelli e molte
vivande quivi al sacrificcio accolte,
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or chiaverebbe fatto, se veduto
un Lanzano vi avesse o Riccanata?
anzi s’un laido stormo e dissoluto
di putte, d’ ubriachi far danzata?
Cosi va il tempio, ed Eli stassi muto,
e non attende a la divina spata,
né punto si rimembra che i potenti
potentemente sosterran tormenti !
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Cosi lesu con un terribil sguardo
e col flagello il tempio avea sgombrato.
Non uomo fu si altier, non si gagliardo,
che noi temesse austero e non irato:
provò la sferza chi al campar fu tardo,
e guai a lui se fossesi voltato,
ch’ove del Padre suo travien l’onore,
fassi sentire in zel, non in furore!