Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/262

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Quell’anima gentil, ch’ad esser l’angue
fatt’era, ch’alzò Mòse nel deserto,
dover tre di lasciar quel corpo langue,
tant’è la sua bellezza e sommo merto;
di che s’attrista si, che ’l vivo sangue
stillava de le vene chiaro e aperto,
e, s’angel può dolersi, quel si dolse,
che ’l nostro pregio in bianco velo accolse.
13
Fatto poi questo, debilmente s’erge,
dal lungo orar, funesto e sanguinoso;
a Pietro e gli altri duoi tornando perge,
ma trova lor, ch’un fiume lagrimoso,
com’è costume suo, nel sonno imerge:
sonno digiuno, inqueto e pauroso.
Tre volte orò lesti, tre volte stolse
lor tre dal sonno, e di Simon si dolse.
14
Dolsesi del buon Pietro, il quale inanti
fu promissor d’invitta fideltade:
però, se gli occhi esterni non costanti
fór contra il sonno e l’ocio e securtade,
men fian gl’interni, avegna che prestanti
sian di ragione, a qualche aversitade,
ché ’l troppo confidarsi di se stesso
fa l’uom piú volte obliar ciò c’ha promesso.
15
Disse lor dunque: — Deh ! ché non potesti,
o Pietro, una sol’ ora vegghiar meco,
che tanto ardito al Mastro tuo t’offresti,
onde fosse periglio morir seco;
e tu, figliuol Giovanni, mi chiedesti
per bocca di tua madre, e Giacom teco,
sedermi a fianchi nel mio regno: e pure
di voi non è che vigilando dure !