Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/261

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8
— Qua — disse lor, — figliuoli, qua vi voglio
sveggiati ad util vostro, a mio solaccio,
solaccio e alleggiamento del cordoglio
per la morte che tosto avrammi al laccio !
Da ciò che vuol mio Padre non mi svoglio,
ch’amaramente mi trará d’impaccio:
però, mentre lo prego (e ciò fia presto),
vegghiate meco e non vi sia molesto ! —
9
Cosi parlando, allungasi da loro
quant’uom col braccio può tirar la pietra,
sommette le ginocchia, e quel martoro,
che l’egra carne da lo spirto arretra,
espon al Padre e al trino Consistoro:
se forse il non voler morir s’impetra,
pur puotendo impetrar, puoter non vuole,
ché ’l morir nostro piú del suo gli duole.
10
— Padre — dicea — Tuoni grave che m’hai dato,
ecco che ’l voler nostro, schivo, aborre;
ma perché vuoi tu porlo al destro lato?
Giá non si vuole al voler nostro opporre:
10 spirto è pronto al giovo e l’ebbe grato,
da che ’l criammo, a se medesmo imporre;
pur questa carne inferma teme (come
che senza colpa sia) portar le some. —
11
Cosi Divinitá fra sé parlava
de l’uom ch’egual non ha fuor che se stesso;
11 qual mentre inalzato al ciel orava,
un angelo maggior gli stette appresso,
per la presenzia cui si confortava,
si come avvien d’alcun signor che, oppresso
dal suo nemico e giá per morte bianco,
tempra ’l dolor se densi un servo a fianco.