Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/260

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4
Ben hai molto stimati noi, vii seme,
se di necessitade a fren ponesti
l’alto valor de le tue forze estreme:
dico ’1 tuo Figlio, ch’a li cani desti!
E questo maggiormente mi ange e preme,
pensando agli error nostri manifesti,
ché, per di tanto duono esser ingrati,
saremo dal promesso ciel cacciati. —
5
A piè del sacro monte d’Oliveto
stendesi piana una riposta valle,
ove Iesú col povero suo ceto,
qualora gli parea voltar le spalle
al volgo e starsi per orar secreto,
spesso venia per disusato calle,
ma piú ne l’ora che ’n purpureo manto
l’alba ci desta gli ucelletti al canto.
6
Giá molte stelle avea la notte, avara
di luce, intorno sparse al freddo polo.
In questa sera, inconsueta e rara,
vi arriva il Salvator col dolce stolo:
verdeggia un orticel che si ripara
di macchie intorno, ed havvi pur l’usciuolo;
passa per quello, ed accennò con mano
che non si rompa il sonno a l’ortolano.
7
E come il buon pastor, che, vigilante
piú che di sé, tien cura de l’armento,
d’undeci puri agnei, che ’1 giorno avante
sofferto avean nel cor e pioggia e vento,
otto quivi ne lascia, i quai l’instante
e stracco sonno vinse in un momento:
ma tre, ch’eran degli altri meno lassi,
oltra seco portò ben cento passi.