Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/284

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Allor sen riede al tribunale e fassi
condurre avanti un si gentil prigione,
che ’ntenerire avria possuto i sassi.
Tratto come si suol trar un ladrone,
col capo chino e muto a Tonte stassi:
né fa pur motto in sua defensione,
se consapevol fosse ben di qualche
sua gran sceleritá che dentro il calche.
101
Parla il romano e dice: — Or voglio certo
esser (non mel negar!) se tu re sei:
giá molti e molti di mi vien referto
starsi nascosto un re degli giudei. —
Allor quell’ Agno in su l’altare offerto
risponde umilemente: — Io giá ’l direi;
ma l’hai tu detto in prima; e donde ’l sai?
o pur da te riconosciuto l’hai? —
102
Signor, mirate con qual arte giri
datorno a questo il cacciatore accorto,
acciò ch’a la sua rete un’alma tiri,
ché senza legge va per calle torto;
sfoga dal santo petto alti sospiri,
non piú perch’abbia tosto ad esser morto
che per disio di riparare, inanti
l’andata sua, tanti perduti e tanti!
103
Sa che la moglie di costui, romana,
o Sergia o Giulia o d’altra nobil prole,
non so qual visione orrenda e strana,
che rado agli mortali accader suole,
avea veduta e non pensata vana,
e dettone al marito piú parole,
il qual temea veder, se Cristo ancide,
vegghiando ancor, ciò ch’essa in sogno vide.