Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/283

Da Wikisource.

96
Mosso da leggerezza, si gli chiede
che ’n sua presenzia qualche segno faccia,
perché gli ne dará quella mercede
che d’oro o gemme od altro aver gli piaccia.
Tace Iesú, né a quel delir succede,
ché quanto il prega piú, non piú gli taccia:
donde, sdegnato, il fa vestire a bianco
e con mill’onte a Ponzio tornai anco.
97
Il qual, vedendol ritornar coperto
di bianchi panni, giudica colore
tal esser d’innocenzia un segno aperto,
qual fu per scorno dato e per disnore:
onde dicea: — Perché m’avete offerto
voi cotest’uomo pio per malfattore?
Ecco, s’Erode il rende salvo, a cui
sta di punirlo, a che far questo nui? —
98
Risposer quelli: — Se foss’uomo giusto,
e non rubel, com’è, né scelerato,
giá non si chiederebbe che combusto
o posto in croce fosse o scorticato.
Sapiamo ben che de l’invitto augusto
Tiberio avete a cor servar lo Stato,
e eh ’aspramente si punisce quello
che gli è, come costui, vasai rubello! —
99
Pilato disse: — Voi che gelosia
avete si di legge, vostra moglie,
ecco, pigliatel voi, ché ’n me non sia
gesto verun che di ragion si spoglie:
fatene strazio, incendio e notomia,
beetevi quel sangue a piene voglie ! —
A questo dire ognun di loro grida:
— Legge non vuol ch’altri per noi s’uccida! —