Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/290

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Felice colpa, poi ch’un Redentore
si degno vien lei tórre in sul suo dorso!
Felice morte, poi che in esso muore,
il qual muorendo a Pluto dá di morso!
Cosi de l’aspra legge e del timore
finisce oggi ne Palme piaghe il corso,
e de la grazia il regno e de la fede
la squadra oggi d’eletti si possedè.
13
Caro Giovanni, acerbo è ’l duol ch’io porto,
acerbo si, che chiuso fuor noi piango!
Afflitta madre senza il suo conforto
in questa etá piú estrema i’ mi rimango;
ma seco l’alma pensa e dice: — In corto
abbiamo a uscir di questo mortai fango;
lá su giremo dopo a Lui, ch’or sale
per sciòr le porte in ciel, rifar le scale:
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rifar le rotte scale d’una viva
pietra con gradi e faticosi passi.
Ma dolce oh quanto è ’l fine a chi v’arriva
per le ’ntricate macchie e alpestri sassi!
Egli va primo, e d-’esta fuggitiva
vita mortai per noi disprezzo fassi,
per noi ch’avemo ad osservar le sante
sue bene impresse e non caduche piante! —
15
Cosi parlando, la sopr’ogni donna
saggia e prudente a la citá perviene
su l’ora propria che da la colonna
(dura colonna!) sciolto è ’l sommo Bene.
Sciolsel Pilato, ed in porporea gonna,
scorrendo un rio fuor de le aperte vene,
mostrollo al popol che lá giú s’affíige
d’ira, di rabbia, e grida: — Crucifige ! —