Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/36

Da Wikisource.

84
Omero è l’uno, l’altro il mantoano
che andargli fianco a fianco non è lento;
e se vivea, forse che ’l suo troiano
col petto equato avria d’Achille il mento.
Parla, in andando, al suo maestro, e ’nvano
di nostre muse or poggia l’argomento:
— Ecco materia eterna, ecco suggetto,
che sol puotea stancar nostr’intelletto !
85
Ecco, vedilo lá Chi tien eguale
non pur di Provvidenzia il Padre eterno,
ma chi del padre l’innamora, a tale
ch’un Dio di tre persone è sempiterno!
Questi sol chiude, schiude, scende e sale,
serena il cielo e fulmina l’inferno;
quinci dolce, benigno e grazioso,
quindi duro, aspro, giusto e spaventoso.
86
Lasso, ch’aver da questo vivo Giove
tenuta grazia d’alto stilo ed arte,
riconoscemo al tardi, ché altre prove
s’avrian fatto per noi veder in carte:
gittate carte, insani accenti, dove
cantasi a’ sordi e l’ore invan fúr sparte!
Frattanto il ciel s’adira e l’aria freme,
ove s’innalza il falso e ’l ver si preme.
87
O voi, beati spirti, o avventurati,
ch’oggi pur nati ovvero a nascer siete,
cosi, se ’l priego nostro vai, sian dati
di noi gl’ingegni al gran desio ch’avrete,
acciò vadan con alto suon cantati
quai versi in grazia di costui direte;
versi ch’almen saranno ad util vostro,
dand’esso il sangue, dando voi l’inchiostro!