Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/85

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Die’ dunque a lor combiato, e, vólto ai maghi,
cosi parlò: — Ch’indicio avete voi
di questo nuovo parto? — E quei, piú vaghi
di sodisfarlo, dan risposta: -- Noi
per la sua stella siamone presaghi,
la qual ne scorge dagli campi eoi ;
ma prima non toccammo i lidi vostri,
che quella si sottrasse agli occhi nostri.
41
A noi, che sua grandezza e maiestade
quant’abbia ad esser conosciamo, parse
debito umano e ufficio di pietade
non tardi i piedi aver, non le man scarse:
di che per vostre terre a securtade
gli util passi affrettiamo, ch’abbassarse
ciascun di noi conviene a un Re si immenso
ed onorarlo d’oro, mirra, incenso. —
42
Erode a questo: — I* stimo e laudo molto
il vostro in voi lodevole desio.
Andate a ritrovarlo! che sepolto
stia pregio tal, non è l’intento mio:
veduto voi ch’avrete il santo volto,
piacciavi d’avisarmi, ch’ancor io
adorarlo verrò, se pur gli dèi
voglion ch’ei sia, non io, re di giudei ! —
43
Cotal menzogna in atto assai maturo
pingea negli occhi lor per ventate.
Ma guardi il disleal ch’a lui fia duro
trar calzi a le divine bastonate!
Sol nuoce a sé chi dá le pugna al muro:
scorno ch’a’ pazzi avien le piú fiate.
Alfin non gli varranno mille schermi,
che vivo ancor non sia cibo de’ vermi.