Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. III, 1914 – BEIC 1822407.djvu/105

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— Il tempo, ch’antedetto piú e piú .volte
io t’haggio, e seco ancora i segni espressi,
105ecco vien ratto, e fien le carte sciolte.
Le sante carte, i libri occulti e pressi
hanno a scoprirsi, e dir: «Chi il mondo serba,
ecco vien Esso dopo tanti messi».
Berrá, volendo, d’una morte acerba
no il destinato calice paterno,
che il crudo umor del pomo disacerba. —
Or Abacucco al suo bastone acerno
appoggia l’omer destro, e il folto pelo
smove alla bocca e schiude un senso interno:
115—Verrá dall’ostro il Regnator del cielo,
e dal monte Faram scendendo il Santo
mostrerá quanto in lui può amore e zelo.
Fuor dell’uman costume un nuovo manto
di pura carne vestirassi drento
120un chiuso ventre, d’angioletti al canto.
In lui mi gioirò lieto e contento,
ché questo è il giá promesso Cavaliero,
da cui l’autor del mal fia rotto e spento. —
Compiuto il canto, il taciturno clero
125dietro al vessillo a duoi a duoi procede,
tornando per lo calle suo primiero.
Porta dinanzi a tutti Mòse il piede,
che un gran serpente avea confitto in cima
d’un’asta lunga, e tutti a lor precede.
130Allor dalla suprema parte all’ima
del gran teatro mille voci e mille
parean nel far un canto in mesta rima.
I padri santi, gli angeli e sibille
piangean concordi al seguitar quel drago,
finché s’ascoser tutti, e a noi le stille
correan dagli occhi a far ne’ petti un lago.
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