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Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. III, 1914 – BEIC 1822407.djvu/119

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Sarò per lei d’un popol nuovo padre,
che del secondo David sotto insegna
105mi passerá davanti in belle squadre.
Sempre la mia cittá vorrò si tegna
senza notturne guardie e porte chiuse,
e il popol vada a suo piacer e vegna.
Uscir d’Egitto non sia chi ricuse,
no o entrar nel ventre al mar col piede asciutto,
vedervi armate torme andar confuse;
rendermi grazie ch’abbia alfin destrutto
l’amaro Faraon, né mi biastemi
se pel deserto fia per me condutto,
115per me soffrirvi caldi e freddi estremi,
fame, sete, serpenti, morbi e guerre;
né fia che in lui perciò costanza scemi.
Ed io vorrò che indarno mai non erre.
Se amare fian, gli addolcirò le fonti;
120e s’arse fian, gli bagnerò le terre.
Non sdegnerommi, no, che a me sormonti,
a me sulle mie spalle, e porterollo
per fiumi, per campagne e alpestri monti,
lo non m’arretro mai suppor il collo
125al dolce peso del mio popol caro,
che m’abbia di fé solo e amor satollo.
Gli pioverò dal ciel quel pane raro,
donde il mio grande esercito si nutre,
ma i figli di costei ne mormoráro.
130Or via dunque, malvagia, e quelle putre
tue piaghe di mia vista fa’ che toglia
e quel tuo d’ira mia pien vaso ed utre.
Vammi lontana, e, vedi, non t’accoglia
venirmi avanti, se il tuo cor non frangi
135ed in un mar di lacrime si scioglia !
Piangi, non aspettar piú tempo, piangi!
Vivo son io, non pascomi di morte.
Fa’sol che l’indurata voglia cangi,
ché della grazia io t’aprirò le porte! —