Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. III, 1914 – BEIC 1822407.djvu/130

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Tenean pur chini sempre a terra i volti,
ch’ivi nel fieno e in grembo d’un presepe
posto hanno un Figlio, ad adorarlo vólti.
Di sé gli fanno intorno angusta siepe:
ma tanti son degli occhi i caldi umori,
che la sua cuna un rio ne accoglie e tepe.
Angiol non v’è, non uom, che non l’adori;
non bue, non asinel, non vicin monte,
che per coprirlo un d’ei non spunti in fuori.
Palermo, a un tratto che mirollo, pronte
ebbe ginocchia da gittarle a terra
ed abbassarvi quanto può la fronte.
10presso a lui, siccome chi non erra
seguir scorta fedel, vi piego Tanche;
e la squadretta lungo a me si serra.
Tutti però discosti, ché non anche
ardir tant’era in noi d’avvicinarsi
a lui, ché treman l’alme e negre e bianche.
Dormia quel Pargoletto, e gli eran scarsi
gli drappi che il coprian contra decembre,
c’ha per lo mondo i suoi rigori sparsi.
Qui cominciò le tenerelle membre
del tempo al li carnefici gittare,
acciocché in tutto a noi per noi s’assembre.
La Madre, eh’è la donna singolare
di quante furo, sono e ancor saranno,
il caro parto stassi a contemplare.
S’avea dal capo istesso tolto il panno
e al meglio puote fattone le fasce,
ove le man fattrici chiuse stanno.
11padre ancor, non padre, mal si pasce
le voglie d’adorarlo, e tiensi indegno
cui tanto incarco a maneggiar si lasce.
Di largo pianto ha volto e seno pregno,
e tal si mostra nell’aspetto, quale
sia di don tanto, in quel ch’uom possa, degno.