Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. III, 1914 – BEIC 1822407.djvu/131

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Fra tanto un gran baron c’ha chiuse l’ale,
baron del ciel, sottentra in vista altiera
ed ha sopr’ambi gli omeri due scale.
70Vien il secondo, e Micael fors’era,
cónto alla forza sua, che leggermente
sospende in braccio una colonna intiera.
11terzo ha il gallo, il quarto la pungente
lancia, cui segue il quinto con la canna
75e spongia, ebra d’aceto e fel mordente.
Il sesto in bianca tonica s’appanna,
di sangue sparsa; il settimo nell’una
tien tre chiodi, e il martel nell’altra spanna.
L’ottavo aspri flagelli in man s’aduna;
80trenta danari il nono ed i tre dadi,
da tradir quegli e questi di fortuna.
Al decimo tra l’altre dignitadi
tocca portar di vepri una corona,
vepri lunghi, mordaci e de’ piú radi.
85L’undecim d’un capestro e d’una zona
e d’altri nodi cingesi la gola,
il fianco, i bracci e tutta la persona.
L’ultimo appare in mesta e bruna stola
con due confitte travi ed è pur croce;
90pena, ch’a’ladri è destinata sola.
Qui porse il gran Palermo un’alta voce,
e disse, alzando gli occhi e mani al cielo:
— Oh morte a si giust’uomo troppo atroce! —
Cosi chiamando, l’anima, dal velo
95corporeo sciolta, in parte si ritenne
ove fame non è, non caldo e gelo.
Stassi quella colomba in sulle penne,
finché il Battista introdurralla seco
lá ove gran tempo i padri Dio sostenne.
100Io, qual stordito, piú non era meco,
quando repente vidimi alle piante
morto chi me allumato avea, di cieco.