Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. III, 1914 – BEIC 1822407.djvu/132

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Ma l’angiol piú vicin con le man sante
degnossi accénni, e con avviso dolce
105mi trasse, e gli altri ancor, poco piú avante.
Qual tramortito, ch’abbia chi lo folce
fin alle piume ove lo corca e stende,
poi con rimedi e parolette il molce;
tal me, giá stato per levar le tende
no all’altra vita dietro al mio maestro,
quel gentil angiol m’alza e a me mi rende.
Fra tanto altri ministri, al lato destro
entrando, fean di stalla un paradiso,
ov’era Dio col gregge suo celestro.
115Coglion quel degno busto; ed improviso,
ecco, le man, in che non cape indugio,
dal vicin monte hanno un avello ecciso.
Poi fatto al piè del sasso un gran pertugio,
vi acconcian l’arca e l’immortai memoria
120danno al mortale e l’ultimo refugio.
Vattene, de’ pastori eterna gloria,
senza il tuo Filoteo, che tanto amasti;
vattene al premio della tua vittoria!
Tu, sendo incirconciso, meglio andasti
125del vero alla chiarezza, e dall’errore
dell’empia latria il popol tuo voltasti,
ch’or non fan questi, ch’ebbeno rettore
Dio sempre a’gesti suoi fin da principio!
Però ti fu concesso il Salvatore
130veder qui nato, e uscir poi di mancipio.