Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. III, 1914 – BEIC 1822407.djvu/134

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Eran le cose allor cosi tranquille,
che non s’udia quantunque picciol crollo,
non che latrar di cani o suon di squille.
Dorme il Fantin, perch’uomo Dio formollo r
35in atto da baciargli volte cento
chi fosse degno gli occhi, bocca e collo.
Dorme il Piccino, e quinci l’argomento
fu del silenzio in cielo e in terra sparso,
dormendo seco il moto ed ogni vento.
40Ora il donzel, che con la croce apparso
era il dertano, in voler dir s’addestra,
come orator che in dar principio è scarso.
Tien dritto il legno in piè con la sinestra
ed, a noi vólto, anzi allo stato nostro,
45cosi parlando stese la man destra:
— Uomo, pon’ mente a quell’orribil mostro,,
per cui, del del fiaccandosi le scale,
s’aprir le porte del tartareo chiostro.
Pon’ mente, dico, al tuo peccato, il quale
50t’ha dato al tuo nemico in le catene
per ben ornargli il carro trionfale.
Egli trionfa ed in prigion ti tiene;
non che per sé quell’ infernal tiranno
fosse a bastanza muoverti dal bene,
55ma del peccato tuo le forze t’hanno
levate l’arme e preso nel conflitto
e messo lá dove i perduti stanno.
Di che, per sciòr d’un si crudel Egitto
te, simil suo, che in career Pluto serra,
60portarti addosso e ritornarti al dritto,
ecco del cielo il Re discese in terra;
eccolo armato d’umiltá profonda,
per dare a te la pace, a sé la guerra.
Largo tesor delle sue grazie abbonda:
65spargerlo vuole a chi gli è partegiano,
a chi sotto il suo imper l’arme circonda.