Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. III, 1914 – BEIC 1822407.djvu/148

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Non tutto mi usurpai, ma fuora esclusi,
delle tre parti, due di quel ridotto
d’uomini’vili e da’maggior delusi,
ioo Costoro, ai comun censi e al tempo rotto,
d’angosce e di gravezze sempre oppressi,
de’ grandi e ricchi ai piè si trovan sotto.
Però quel diversorio d’ambo i sessi
di questi maltrattati giorno e notte
105fu pieno ed a fatica li ripressi.
Venian talor a noi confuse frotte:
io con dolci parole le affrenai,
e pur vi furo alcune teste rotte.
Piacque da mane a sera e sempremai
io al Signor nostro, dacché usci dal ventre,
soffrir fino al sepolcro oltraggi e guai.
Volean entrar, ed io gridava: — Mentre
che noi romani e gente di Quirino
qui stiamo, non vogl’ io ch’alcuno v’entre.
115Noi siam della famiglia del divino
Imperador; guardate al fatto vostro;
non son io circonciso, ma latino! —
Con tai parole scritte a vero inchiostro,
ch’eramo noi del divin Re famiglia,
120lor tenni fuor del piccoletto chiostro.
Poscia spediti, e data a lor la briglia
e libertá di gire ovunque piaccia,
chi qua, chi lá, ciascun suo colle piglia.
Come dal rotto mar ponente caccia
125i venti e il fa tranquillo, cosi noi
trovamo si poi Tonde in gran bonaccia.
Madonna, vòlta a me, coi puri suoi
divini modi si degnò di dirmi:
— Folengo, e perché fai piú che non puoi?
130—Madre di Dio — risposi, —a che ferirmi
indignissimo plasma con le sante
parole vostre, e non qual reo punirmi?