Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. III, 1914 – BEIC 1822407.djvu/151

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Ijc cose mie non ostro, non zendado,
non gonfie toghe son, non lunghe caude,
non cortigiani avvezzi al paggio, al dado.
Le cose mie non sono in bocca laude
ed inni al Padre mio, nel cuor biastemme,
odiar il vero, amar chi falso applaude.
Le cose mie non son l’oro e le gemme,
non elevate stanze in su colonne,
tolte dal mondo all’ultime maremme.
Le cose mie non son porporee gonne
e trasparenti sotto a bianchi lini,
non cani, augei, non mule, paggi e donne.
Le cose mie non son confetti e vini,
recati d’alto mare alla tua gola,
non perle in oro, argenti e vetri fini.
Le cose mie non sono aver la scola
de’ dotti a mensa, acciò ch’ipocrisia
vergine appaia in candidetta stola.
Le cose mie non sono simonia,
non avarizia ed inconcessi acquisti
per far grandezza e gire a tirannia.
Vien’, cittá santa, vieni; e quegli Egisti,
quei tuoi Sardanapali e Deci lascia,
quei scribi e farisei, quegli anticristi.
Vieni a veder se Chi d’un’ampia fascia
stellata cinge il globo della terra
fígliuol s’è fatto d’uom che vive all’ascia.
Vieni a veder Chi il mar e i fiumi serra,
l’un d’ampi lidi, gli altri d’alte prode,
se freddo, fame e inopia gli fan guerra.
Vieni a veder Chi le montagne sode
muove dal fondo, le urta e fa cadere,
s’or sul fien fra duo bruti per te gode.
Vieni a veder Chi pesci al mar, Chi fiere
die’ a’ boschi, augelli all’aria, al ciel le stelle,
s’ha contro il tempo donde aiuto spere.
Foi-KNGO, Opere italiane - in.