Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. III, 1914 – BEIC 1822407.djvu/155

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Otto giá volte avea donato e privo
il mondo Apollo di suoi fregi d’oro,
dando ber ai corsier dell’Utri al rivo,
quando di Dio la Madre, dal suo toro
35strato di frondi sorta, con le dotte
sue sante mani misesi a lavoro.
So ch’ella non mai di cessava e notte,
ed ora le ginocchia in terra ed ora
le mani aver in opra a tutte l’otte.
40Senz’ago e fuso mai non la vid’ora,
sol per vestir poveramente il Figlio,
ché dalle fasce ornai tori al lo fuora.
Gioseppe, che da lei seppe consiglio
esser nel ciel che l’incolpevol Cristo
45fosse di Legge termino ed esiglio,
fattosi tutto in faccia dubbio e tristo,
senza che a lei produca motto alcuno,
me solo accenna che l’avea provisto.
Teneva in mano un bel vasetto ed uno
50a me nuovo coltei d’acuta pietra,
stando pur mesto e di parlar digiuno.
S’acchina tòr l’Infante, e poi s’arretra
tremando; e, vólto a me: — Tu pigliai — dice, —
ch’a me stupisce il cuor, la mano impetra.
55— Aimè! — rispondo, —adunque se non lice
a voi, scelt’uomo in padre suo, toccarlo,
io il toccherò, prav’uomo ed infelice?
Non voglio e manco deggio e posso farlo,
ché mi sento impedir non so che in petto,
óo non dico a questo far, ma sol pensarlo. —
Ed egli a me: — Fallo, siccome astretto
ed ubidiente a Lui, che cosi vuole;
né senz’aiuto poss’io far l’effetto. —
Allor, com’uomo vile, il qual si duole
65non poter fugger qualche onor, non vòlsi
scusarmi piú, né invan gittar parole.