Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. III, 1914 – BEIC 1822407.djvu/156

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Per ubidirlo, dunque, alfine il tolsi
fra le mie man tremanti tuttavia,
e su le mie ginocchia lo disvolsi.
70Pensa, lettore, a ch’era l’alma mia,
vedermi nudo in man quel corpo, tolto
da Chi creato l’universo avia.
10l’appresento al padre cosi sciolto;
ed e’ fermò la man che pria tremava;
75tronca il prepuzio, e sangue usci non molto.
In quell’urnelta l’uno e l’altro inchiava,
ché anch’esso i suoi mártir futur fanciulli
di colpa originai ripurga e lava.
Alle miserie umane son trastulli
80sangue, sudor e passion di Quello.
Colpa non è, che Cristo non annulli.
Sei furono le volte, che del bello
suo sacro corpo a noi fu sangue tratto.
Questo è il primier, ch’agi’innocenti dièllo.
85Sparse il secondo, allor che, in astio fatto
per troppo ardor ch’avea di noi salvare,
sudollo fuori, e il Sol pianse a quell’atto.
11terzo alla colonna, e d’indi un mare
ne scorse alli flagelli e battiture,
90nel qual giá Palme incominciar nuotare.
Il quarto per le acute spine e dure
dall’onorando capo in terra piobbe,
onde pur Palme ancor fúr monde e pure.
Da chiodi il quinto; il sesto ben cognobbe
95chi gli apri il lato, i birri ed i duo ladri,
e chi spartirò a sorte le sue robbe.
Or di gran lunga sopra l’altre madri
la Madre vien da noi, mentr’io rifascio
quei membri ch’ella fe’ cosi leggiadri.
100Tutta gentil mi disse: — L’altrui fascio
perché, Folengo, porti?—Poi sorrise,
soggiungendo: — Tie ’l caro, ch’io tei lascio