Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. III, 1914 – BEIC 1822407.djvu/184

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Non è parer mio, dunque, se la voce
ho teco qual sempr’ebbi, che tu vada
piú presto a tòr che dare altrui la croce.
Non voler, no, ch’arruggini la spada
35quest’uomo, che tant’anni ognor piú saldo
segue gli errori e mai non torna in strada.
Piú che il carezzi, arrabbia e va si baldo,
va si arrogante e pien d’iniquitade,
che non gli duol, ma gode esser ribaldo.—
40Stette a quel giusto dir la Veritade
in vista quasi di cangiar sentenzia;
ma pronto il collo abbracciale Pietade.
Prega per la gentil sua providenzia
che all’animal degli altri piú felice
45scenda, non con rigor, ma con clemenzia.
Speranza, de’ mortai l’imbasciatrice,
come quella che in tal disio verdeggia,
tace e, tacendo, ascolta ciò si dice.
Non è fra l’altre tanta, ch’osar deggia
50muover in quella causa ivi parola,
ma solo accenna Fede e la motteggia.
Fa cenno e la motteggia, ch’ella sola
ottenerá co’ prieghi, che il disegno
sia fatto in quel che i miseri consola.
55E tanto piú, che ad essa il manto e regno
della Legge mosaica è per sortire,
se alzata ha la Veritá sul legno.
Fede, ch’a tanto imperio avea da gire,
fa d’occhio a Caritá, ch’usi sua arte
60e faccia gli almi ardori altrui sentire.
Fortezza con Giustizia tien la parte
alla Pietá contraria, e a spegner stanno
Prudenza e Temperanza il nuovo Marte.
Concordia e Pace assai tramesse fanno;
65come tranquille e facili madonne,
or quinci or quindi componendo vanno.