Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. III, 1914 – BEIC 1822407.djvu/205

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Ma Dio, c’ha d’onor zelo e non assonna
dopo lungo aspettar sferzate darne,
105lá su tuonò, qua giú vesti la gonna.
Lá su tuonò, piovendo non piú starne,
non manna piú, ma guerra solo e peste;
qua giú vesti la nostra umana carne.
Anzi, fatt’uomo, tolse in sé due veste:
110di leon Luna, e qui la pace atterra;
d’agnel quell’altra, e qui vuol ch’ella reste.
Scese leon, rompendo pace in terra;
pace, qual tengon quei c’han negre l’ali;
pace dannosa piú d’ogni aspra guerra.
115Dannosa era la pace tra’mortali,
che sotto empio monarca si nudriva
di gola, d’ozio e assai peggiori mali;
ma di quel piú che Dio piú abborre e schiva,
quel conficcato in noi con fermi chiodi,
120l’adorar un troncone e pietra viva.
Perché Satanno e i suoi, con mille frodi
scorrendo i popol tutti e piú lo greco,
spenser del divin culto i riti e modi.
Né Roma sol, ma tutto il mondo seco
125nuotava in questo abominevol puzzo,
bestie adorando e mostri l’uomo cieco.
Ogni quantunque piccolo vertnuzzo
l’onore a Dio togliea per man d’un grave
mastro, nelle cagion seconde aguzzo.
130Tu sol, Giudeo, latrie si lorde e prave
cognosci vane, e in quelle non incapi,
benché piú volte urtovvi la tua nave.
Furono in scherno agli altri le tue dapi
ed osservati bagni; e a loro spettri
135rendean onore, a stercoli e priapi
quei che del mondo tolser manti e scettri,
dico quei Scipi, Gracchi, Sergi e Fabi,
nati a dur’ elmi piú che a molli plettri ;