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Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. III, 1914 – BEIC 1822407.djvu/208

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Sicché alle forche obbrobriose e sozze
d’ambi fe’ don quel Polifemo ed orco,
e a’ corvi ’i diede impesi per le strozze.
Ben disse Ottavio, che di sangue sporco
35d’un altro suo figliuol non stato fóra
quando l’avesse generato porco;
chiamando! «mal giudeo», che mentre onora
sua Legge, non porcina mai gustando,
si ben la carne de’ figliuoi divora.
40Dovea quel giusto imperador in bando
cacciarlo al tutto privo, ma sol era
punizion decente al divin brando.
Or dal balcone un giorno questa fiera,
stando a mirar lá verso ove il sol suole
45da mane uscire a ritrovar la sera,
vede lustrar lontan sott’esso sole
un intervallo a guisa d’elmi tersi:
suspica presto e seco se ne duole.
Pur punto non si muove, e, mentre immersi
50tien gli occhi coi pensieri in quella parte,
vede gran gente, o medi o arabi o persi.
Non comprende però se sono o d’arte
mercatantesca o ambasciador piú chiari
o, quel che l’ange piú, guerrier di Marte.
55Uomini alfin, cavalli o dromedari,
sendo propinqui, ornai discerne e vede,
lupi cervieri ed animai piú rari.
Vengon parte a destriero, parte a piede.
Rallenta il duol alquanto, come quello
60che, mal vivendo, al mal d’ogn’ora cede.
Rallenta il duol, ch’aver paura fèllo
quel d’arme tremolar. Posa, or vedendo
cani di caccia e in lor piú d’un augello.
Va lor incontro, in s’un corsier salendo,
65ch’avegna egli non sa chi sian espresso,
pur onor pargli d’uomo reverendo.