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Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. III, 1914 – BEIC 1822407.djvu/228

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Vien Simeon, e fuor dell’uscio erompe
al primo aviso; non si fa superbo
aspettar fuore, ma ogni indugio rompe.
70Viene da lunge; l’incarnato Verbo
cognosce ratto e, sé prostrando in terra,
nell’adorar gli trema ogni osso e nerbo.
Poi s’alza ritto e del timor si sferra,
e, d’amor spinto, togliel dalla Madre,
75e fra le man sei chiude al petto e serra.
Qui allegro e baldo gli occhi al sommo Padre
leva infiammati; stassi un poco e tace;
poi canta queste rime alte e leggiadre:
— Benigno mio Signor, giá se vi piace,
80me vostro servo, di tal grazia pago,
secondo il vostro dir, lasciate in pace !
Quel Salvator, il qual io cosi vago
fui di veder, giá con quest’occhi godo
vederlo, e aver in queste man m’appago.
85Rompasi ornai questo mio fragil nodo:
vostra mercé, Signor, vostra bontade,
io il veggo, palpo e respirar qui l’odo.
Voi messo a queste nostre rie contrade
l’avete, ad esser tosto nel cospetto
90de’ popoli lor lume e chiaritade.
Cosi le genti allor, ch’avete eletto,
fian revelate a gloria, onor e laude
del popol d’Israel vostro diletto! —
Finito ch’ebbe il canto, giá non aude
95tòrsi del petto il groppo di sua vita,
ch’or per lui solo resta, gode, applaude.
Poi, vólto all’alta Donna, disse: — O attrita
nel mar d’afTanni e doglie navicella,
o fra mill’archi e spiedi alma ferita;
100ecco, voi partorito avete, o bella
delle virtú lucerna, Quel eh’è posto
in ruina di molti e ornai flagella!