Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. III, 1914 – BEIC 1822407.djvu/31

Da Wikisource.

100Di quest’error, ch’ogni altro errore avanza,
che sian piú cieli, empia cagione emerse
di dar a finti dèi del ver l’orranza;
quando ch’a ciascun cielo un idol s’erse
agli aitar sopra, ed adorollo il mondo,
105che in un mar poi di favole s’immerse.
Di quante stelle andar vedemo a tondo
fur tanti dèi, chi putta, chi cinedo,
poi quei del mar. poi quei del basso fondo.
Cosi la bella Astrea tolse congedo
110da noi, tornando in ciel, ché il dare a’cani
onor divino att’era immondo e fedo.
Alziamo dunque i cuor, non che le mani,
non che le facce al ciel unico e santo:
né siamo stoici no, ma cristiani!
115Creò la terra Dio, cui Mòse vanto
non dá dicendo ch’era vana e vota,
acciò col ciel non sia prezzata tanto.
Corpo alla terra ed alma al ciel devota:
lá gioie eterne, qua speranze umane;
120lá regna Dio, qua la volubil rota.
Successe al cielo il lume sera e mane:
e rotti che del cao furo i legaggi,
la luce di, fèr notte l’ombre vane.
Disser pur anco quegli antichi saggi
125che il sol cagiona il giorno e notte, e fanno
quest’altro al magno Sol di mille oltraggi.
S’un principal motor del tutto sanno,
perché si abbaglia questo Sol lor ciglia,
che a ben veder del tutto occhi non hanno?
13011 fattor della luce s’assomiglia
ad un possente re, che molti e molti
ministri elegge a cura di famiglia.
Ricchi tesor tien, che dissepolti
parte per sé dispensa, e n’orna sale,
135teatri, templi ed archivolti: