Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. III, 1914 – BEIC 1822407.djvu/61

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quel primo ceppo uman, d’ogni arte inculto,
di questa innata legge e naturale
impresso era ne’ sensi e dentro sculto.
70Ma, sendo l’uom piú sempre a peccar frale,
e non avendo il fallo suo palese,
potea pure scusarsi di tal male.
Di che per ignoranza molte offese
turbar faceano in ciel l’ira divina,
75che spesso in sua vendetta l’arme prese.
Poi, di tant’alme al danno, alla ruina
volendo opporsi, un’altra legge scritta
diedesi a Mòse in cima all’alto Sina.
Esso la stirpe ebrea, molt’anni afflitta
80sott’aspra servitú, cribrolla a pieno,
inentr’oltre i gran deserti la tragitta.
S’erse il peccato allor né piú né meno
d’occulta biscia, quando il piè la calca
e chi lei mira scansa il mal veleno.
<85 Scansasi ognuno, e quanto può cavalca
lontano a lui; ma quel, mentre va in luce,
gran parte di sue forze si diffalca.
Come se un torchio acceso riconduce
alcun di notte, ovver per antri e cave,
90ciò che fu oscuro agli occhi suoi riluce;
non men quanto fúr lorde, triste e prave
l’opre del mondo, all’apparir di legge
insieme apparser col peccato grave.
Or son le travi, or le minute schegge
95non pur a Dio, ma in gli occhi a questo, a quello;
ed è chi le punisce ovver corregge.
Sa l’uomo in sé suo stato o buono o fello,
grida legge ch’è dura e scritta in pietra.
E chi è di voi ch’a Dio non sia rubello?
100E chi opra di voi bene? Ognun s’arretra
e slargasi da me, perché vi dico:
— Ai vostri error salute non s’impetra! —