Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. III, 1914 – BEIC 1822407.djvu/74

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Palermo disse allor: — Non so mi deggia
ragionar vosco o d’este nostre perle
e del molt’òr che tanto a voi fiammeggia,
70o pur d’alcune cose, che vederle
mi pare in spirto ai versi di costei,
che a giusto sdegno non derrei tacerle.
Pur me ne passo, e so che le direi
con poco util altrui, con sconcio mio,
75che a cuor di smalto il fiato gitterei.
Dicerlo ancor fra noi, non so qual io
frutto cavarne possa, se a chi tocca
non ode per mia lingua il zel di Dio.
Vendetta cruda fia, lo strale è a cocca;
Hi» e, se giuste non tornan le bilance,
non veggo alcun ripar, ché l’arco scocca.
Ecco insensati vecchi e vecchie rance
tornano a ingiovenire (oh cosa enorme!);
imbraccian scudi e non arrestan lance.
85Amali sculture e getti; n’hanno forme.
Natura offesa ne fará vendetta
infin che al tutto ’i tolga tal che dorme.
Costui vien desto e negli arcion si assetta
acquisterá le chiavi, donde senza
90romper le porte schiuda una rocchetta,
ove, tolto che fia la pestilenza
e orgoglio di costor, fia posto in una
urna del simil suo con riverenza.
Ma troppo di soggetto al cuor s’aduna.
95Vegliamo a quel poc’anzi v’ho promesso
di dirvi quanto debbo a mia fortuna.
Ciò che vedete e vederete appresso
di questa nostra orientai ricchezza,
se orientai pur è ovver piú presso,
100tal pregio tien, tal costo e tal finezza
qual oro finto, stucchi, statue e vetro.
Non piú cercate: avete la certezza.