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CANTO XIX

Discorso quanto sia grato il variar d’un poeta,
«d in die cosa Iosep e Mòise furono figura di Cristo
Siccome in un bel culto o fertil orto
non l’util pur, ma forse vi s’apprezza
quel piú che agli occhi nostri dia conforto;
e questo è varietá, quest’ è vaghezza
5d’erbette, piante, fiori e scelti frutti,
ch’altra non trovo a variar bellezza;
poi senti e vedi andar pieni acquedutti
di chiar cristallo, quinci e quindi vaghi,
né d’acque mai sotto gli ardori asciutti;
io qui né pennelli vagliono né gli aghi,
sian pur d’Apelle sian d’Aragne, addurre
color si vivi, si diversi e vaghi,
come le dotte man callose e dure
del vecchiarei Coriccio con lor zappe
15vincon ricami e nobili pitture,
san sveller cardi, ortiche, vepri e lappe,
ed ei fa d’erbe e fiori un bel trapunto,
né macchia v’è, che non la ronchi e zappe:
non men chi, dal desio spronato e punto,
20per cui d’onor s’acquista o scorno o fama,
piglia di poetar lo sacro assunto,
non giovar solo ed esser util ama
a questo, a quel, ma tutti a gran diletto
con dolce variar invita e chiama.
25Scienza ed arte son comune oggetto;
giudizio è raro: quelle s’hanno in terra,
questo dal ciel, per sola grazia eletto.
Però si vede ben, se il mio non erra,
per poco ch’aggia, in tanti autori e tanti
30raro esser quel che in sen Febo si serra.