Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. III, 1914 – BEIC 1822407.djvu/98

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dico la donna, eh’è l’estremo porto
di quei maligni, quando avvien ch’uom pio
non mai dal giusto parte al cani min torto.
La sua nuova Xantippe, che in oblio
35ragion avea, se mai pur n’ebbe messo,
stigava lui che maldicesse Dio.
Egli, che di quant’era piaghe oppresso
tante grazie rendea, benedicendo
a Quel che in lui tal scempio avea permesso,
40stava pur saldo all’onde, rivolgendo
il forte suo timon di tolleranza,
sempre di donna al soffio resistendo.
Ficco s’egli da Dio fu detto sanza
pareggio mertamente esser in terra,
45di vita onesta si, ch’ogni altro avanza!
Però chi segue un duce tal non erra
e pende agli occhi nostri un tanto esempio,
mentre col mondo abbiam continua guerra.
Cosi con ferro, peste, foco ed empio
50furor umano ed infernale insieme
fe’ Dio, non le man nostre, il sacro tempio.
Or ascoltiamo le sue dolci e sceme,
parole, alquanto di vigor malsano;
l’alma gioisce a dirle, il corpo geme:
55— Io spero, e il mio sperar non mai fia vano,
che Chi promette stassi alla promessa,
e quel ch’io spero toccherò con mano.
Spero che fia dal ciel salute messa
e che ora in carne il Redentor mio viva:
óo e questa speme in me sperar non cessa.
Spero che Chi con Palme i corpi avviva
verrammi a trar di questo miser stato,
e qui vedrollo in spirto e carne viva.
— Ed io — parlò Sansón, giá in piè levato
65con le gran porte in braccio — non men spero
vederlo forte in nostro aiuto armato.