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Pagina:Folengo - Opere italiane, vol. 1, 1911 - BEIC 1820955.djvu/232

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226 caos del triperuno



P orgon l’udita e sentono che — Gloria
I n excelsis — dicean i bianchi spirti;
E d avvisati dove ’l Salvatore
N asciuto giace, lá, con allegrezza
T osto da noi partiti, s’avventaro
I n quella banda che fu lor mostrata.
S ol io ritratto in parte for de gli altri
S edevami pensar tal novitade,
I n fin che, ritornati, cose orrende,
M ai non udite piú, d’un fanciullino
A noi contaron di stupor insani.

E cco, senza far motto alcun ad elli, [«Tu autem quum oraveris intra in cubiculum tuum, ubi, clauso ostio, patrem tuum in abscondito ora». Evang.]
T utto soletto quinci mi diparto,

E sollevando gli occhi al ciel sereno
V idi una stella rutilar fra l’altre,
A nti scorgendo sempre il mio sentero,
N é mai fermossi fin che al santo loco
G iunto non mi vedesse e poi smarritte;
E d una voce ancor dal ciel mi venne,
L a qual dicea: — Felice criatura,
I o son quella verace e schietta donna
C he vai cercando in terra e stommi ’n cielo. [Veritas in coelo moratur, quia omnis homo mendax.]
A ltea mi chiamo: or entra qui sicuro. —

E poi ch’ebbe parlato, un bel concento
S’ udiva d’arpe, cetre, plettri e lire.
T acendo poscia, fu non so chi disse: