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selva seconda 243


Ché a l’apparir di donna antica e grave [Eleutheria.]
tosto la pugna fu da lor divisa:
chi si racconcia il sino e chi le flave
chiome si annoda e chi di dar sta in guisa.
Ma la matrona con parlar soave
voltossi a me dicendo: — Qui s’avvisa
per me qual porta entrar deve chi brama
o quinci o quindi racquistarsi fama.

Quinci Vertú, quindi Fortuna alloggia,
i’ ti l’ho detto: va’, ch’ambo le porte [«Quid autem est libertas nisi potestas vivendi ut velis?». Quintil.]
ti mostro aperte. — E detto ciò, s’appoggia
sul petto il viso di Vertute e sorte
fra le colonne. Ed io ne stava in foggia
di chi non sa de le dua porte apporte
quale si prenda, s’una prender deve;
e mentre dubbia, gran duolo riceve.

La destra via mi elessi finalmente:
cosí movea di Nursia il saggio spirto.
Ma le sinistre donne, triste e lente,
trasser a l’ombra insieme d’un suo mirto.
Quivi tra loro un lupo immantenente
comparse (onde non so) minace ed irto,
del quale una di lor, se ben rimembro,
svelse sdegnando il genitale membro.

Poscia chi per il piè, chi per l’orecchia
lo tranno a terra giú quelle fanciulle,
mentre l’altare e ’l foco una apparecchia.
Ciascuna par che ’n quello si trastulle
svenarlo, e qui s’accoglie e si sorbecchia
tanto del sangue suo, che ’n tante mulle [Omnis mappa redditur ad stuppam.]
le vidi esser cangiate a me davante,
e ’l foco stesso le arse tutte quante.