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258 caos del triperuno


G iran intorno e fannomi qual foglia
V olar al vento, e gli arbori, le ripe,
L e spiagge mi parean cotanti veltri
A i fianchi de le capre gir correndo.

S altano ad alto l’erbe e gli virgulti,
A lpe con monti e ’nsieme con poggetti
C orreno in rota e danzano leggiadri.
R apito poi con elli il mio cervello,
I n un momento scorse l’universo
S enza posarsi mai, senz’ulla tregua.

M entre cosí danzava a la moresca, [Illusiones ebrietatis.]
O do dir: — Triperuno! — Ed ecco in mezzo
R atto mi vidi posto d’una turba.
I o contemplai non so che volti grassi
B ere sovente e poi cantar sonetti,
V otando zaine, fiaschi e gran bottazzi;
S altavan poi chi su chi giú d’intorno,

I n quella foggia che vili fasoli [«Vilemque faselum». Virg.]
G irano, a spessi tomi volteggiando,
N el caldaio su fiamme ardenti posto.
A llor con quelli insieme canto in gorga [«... nec non et carmina, vino | ingenium faciente, canunt». Ovid.]
T utta tremante: — Bacco evoé! —
I ncomenciando poi cosí dir versi:

FUROR

— S urgite trippivorae, Merlini cura, Camoenae:
«T rinch trinch» si canimus, quid erit? cantate, bocali!
E cce menestrarum quae copia quantaque stridet
R ostizzana super brasas squaquarare bisognat.
C urrite, gnoccorum smalzo lardoque colantum
O conchae, plenique cadi plenique tinazzi!
R umpite brodiflues per stagna lasagnica fontes,
E rrantesque novo semper de lacte ruscelli!