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selva seconda 265


LIMERNO

— Vaga, solinga e dolce tortorella,
ch’ivi sul ramo di quell’olmo secco
ferma t’appoggi ed hai pallido il becco,
spennata, pegra e men de l’altre bella;
dimmi, che piagni? — Piango mia sorella
perduta in queste selve, e lei dal stecco
di questo antico legno chiamo, ond’Ecco
miei lai riporta a la piú estrema stella. —
Lasso! ch’anco la mia pennando i’ chero
per questi boschi, e ’ndarno quella abbraccio, [«Ludit Amor sensus, oculos perstringit et aufert libertatem animi et mira nos fascinat arte».]
fingendo lei quell’albero, quel pino.
Ma acciò che ’l nostro affanno men sia fiero,
partiamo a l’uno e l’altro il suo destino,
ché altrui miseria al miser è solaccio.

TRIPERUNO


Piacquemi sommamente quella foggia di dire, senza ch’avessevi egli, come si sòle, faticosamente avanti ripensato. Ma, levandosi quella un’altra fiata su le penne, giuso in una valle portata, da gli occhi di quello si tolse. Ed esso, rallentata la corda del canto piú de l'altre affaticata, mettesi a passeggiare accanto il fiume, tutto sopra di sé, come penseroso, levandosi, non avendo ancora scorto lo mio maestro di lá dal fiume, su la ripa del pane fresco, agiatamente disteso. Ma vedutolo cosí sprovveduto, ritenne il passo e, tutto il viso in riso cangiatosi, cominciò ad interrogarlo in questo modo.