Pagina:Folengo - Opere italiane, vol. 1, 1911 - BEIC 1820955.djvu/28

Da Wikisource.
22 orlandino


60
Per far una leggiadra tua vendetta
e punir in un dí ben mille offese,
celatamente l’arco e la saetta
tua man spietata in mia ruina prese.
Ah punto infausto! ah stella maladetta,
che contra te mi tolse le difese,
allor ch’io vidi quella faccia infusa
di tal beltade, a me sol di Medusa!
61
Misero me, che indarno esser sperai
di sí onorevol giostra vincitore!
E tu, cieco fanciullo e nudo, m’hai
gettato fuori non del corridore
in terra, ma di gioia in tanti guai,
di bella libertade in tant’errore!
Deh! Dio, se de’ mortali unqua ti cale,
dal cor mi sferri questo ardente strale!
62
Pazzo che sei, Milon! come non vedi
che non sei pare al grado imperiale?
Se di tal vischio non ritraggo i piedi,
che poss’io mai sperar altro che male?
E posto che ’l suo amor ella mi credi,
non l'averò però, ch’io non son tale
cui la fortuna un tanto ben dar voglia;
e pur amor di lei seguir m’invoglia! —
63
Mentre solingo crucciasi Milone,
e mille fiate vole e mille svole
quel che consiglia amor, quel che ragione,
facendo come foglia al vento sòle,
ecco nel mar ispano si ripone
tra le Colonne il giá straccato sole;
sorge la notte da la parte adversa;
ciascun in preda al sonno si roversa.