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selva terza 367


Ma, lasso! il chiaro vetro in ch’io solea
specchiar da fronte i secli, e poi le spalle,
per ch’io ’l trovai sí fosco? perché Astrea
piú star non volse meco in questa valle?
perché ridir non so quant’io scorgea
per un angosto ma soave calle?
Lassiamlo dunque; anzi a le cose parve
scendiamo, poscia che l’altezza sparve!

Sparve Natura molto neghittosa,
mercé che volse a Dio l’orgoglio equarse.
I’ mi fermai sott’una macchia ombrosa, [Si non vis intelligi, neque intelligaris, lector.]
mirando l'ape, quinci e quindi sparse,
a sacco porre una campagna erbosa
ed a vicenda in loco poi ritrarse,
ove locar di cera e mèle vidi
per cave querze i tetti lor e’ nidi.

Se fu ne’ grandi corpi molto industre
Natura, ove mirabil officina
corcò, quanto piú parmi saggia e illustre
fingendo l’apa in forma sí piccina!
Né l’apa sol, ma ciò ch’umor palustre
nudrisce, dico, o riscaldata brina,
donde sbucarse veggio tarli e culci,
vespe, cicade, mosche, ragni e pulci.

Dimmi tu, senso altier che a tutta puossa
intender cerchi Dio né mai lo aggiugni,
perché, s’han elli sangue, nervi ed ossa
sol per sapere, non te stesso impugni?
perché sottrarsi da qualche percossa
lor presti miro, che morte no ’i giugni?
Segno evidente ch’in tal corpicello
non men la madre oprò ch’in un gambello.