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Pagina:Folengo - Opere italiane, vol. 1, 1911 - BEIC 1820955.djvu/381

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selva terza 375


PARADISO TERRESTRE

TRIPERUNO


Dopoi che sopra e sotto ’l ciel usciro
l’opre del summo artefice sí belle,
né molto spazio andò che l’empio e diro
popol de li demón fu da le stelle
bandito al centro basso, ove periro
con l’ombre eternamente al ciel rubelle,
su l’uomo Dio fondò stabil disegno,
ch’empir di novo avesse il vodo regno.

Né piú son pesci in acque né piú foglie
in selve, come in ciel private stanze.
Però Michel, poi ch’ebbe l’atre spoglie
di Pluto trionfando su le lanze
sospese ai tetti ove l’onor s’accoglie,
discinto il brando e tolte le bilanze,
venne qui giú per farvi non piú guerra,
ma sol un paradiso a l’uom in terra.

Qui, di soperba fatta invidiosa [«Non enim invidia parit superbiam, sed superbia parit invidiam, quia non invidet nisi amor excellentiae». Aug.]
la greggia de’ cornuti negri, quando
questo antivede, cruda e neghittosa,
ripiglia contra noi l’occulto brando
(i’ dico «brando occulto» a piú dannosa
nostra ruina), e sempre va celando
quinci quel vischio, quindi quella pania, [Multi sunt vocati, pauci vero electi.]
tanto che la piú parte avvinge e lania.