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lettera xxiv-xxv 111


LETTERA XXIV

3 aprile.

Quando l’anima è tutta assorta in una specie di beatitudine, le nostre deboli facoltá, oppresse dalla somma del piacere, diventano quasi stupide, mute e incapaci di occupazione. Che s’io non menassi una vita da santo 1, ti scriverei con un po’ piú di frequenza. Perché, se le sventure aggravano il carico della vita, noi corriamo a dividerlo con qualche infelice; ed egli tragge conforto dal sapere che non è il solo condannato alle lagrime. Ma, se lampeggia qualche momento di felicitá, quasi stella che striscia fra le tenebre della notte, noi ci concentriamo tutti in noi stessi, temendo che la nostra ventura possa, partecipandosi, diminuirsi, o l’orgoglio nostro soltanto ci consiglia a menarne trofeo. E poi sente assai poco la propria passione, o lieta o trista che sia, chi sa troppo minutamente descriverla.

Frattanto tutta la natura ritorna bella..., bella così quale dev’essere stata quando, nascendo per la prima volta dall’informe abisso del caos, mandò foriera la ridente aurora d’aprile. Ed ella, abbandonando i suoi biondi capelli sull’oriente e cingendo poi poco a poco l’universo del roseo suo manto, diffuse benefica le fresche rugiade, e destò l’alito vergine de’ venticelli, per annunziare ai fiori, alle nuvole, alle onde e agli esseri tutti, che la salutavano, la comparsa del sole. Del sole! sublime immagine di Dio, e luce, anima e vita di tutto il creato.

LETTERA XXV

6 aprile.

Per quanto io tenti di non parlarti piú di Teresa, temendo di destar le scintille che dormono sotto la cenere, pure... E veramente io mi aspettava fino da ieri che tu me ne facessi parola,

  1. Nel l’errata-corrige dell’edizione originale si propone una correzione «in pianto», che ci sembra sospetta. Tanto è vero, che poi il F. nel secondo Ortis conservò la primitiva lezione [Ed.].