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112 ii - ultime lettere di iacopo ortis


per poterne parlare con qualche ragionevole motivo. Ma, poiché tu mi scrivi una lettera lunga due fogli senza pur nominarla, io, che da poco tempo in qua ho il costume di rompere tutti i miei proponimenti... Premesse inutili? Sappi insomma che il mio buon umore, di cui tu fai sì gran festa, è frutto di un nuovo avviso di Roma.

È vero, troppo! Questa mia fantasia mi dipinge così realmente la felicitá ch’io desidero, e me la pone dinnanzi agli occhi, e sto lì lì per toccarla con mano, e mi mancano ancor pochi passi...; e poi? L’infelice mio cuore se la vede svanire e ne piange la perdita, quasi di un vero bene. Ma tuttavia... egli le scrive che la cabala forense gli fu dapprima cagion di ritardo, e che in séguito la rivoluzione ha sospeso per qualche giorno l’attivitá dei tribunali; inoltre la libertá che soffoca per breve tratto tutte le altre passioni, l’amore di gloria forse... Ma tu dirai: — E tutto ciò cosa importa? — Nulla, caro amico: a Dio non piaccia ch’io mi prevalga della freddezza d’Odoardo...; ma non so come si possa starle lontano un solo giorno di piú! Andrò dunque ognor piú lusingandomi, per trangugiarmi poscia l’amara bevanda che m’avrò io medesimo preparato?

LETTERA XXVI

11 aprile.

Ella stava sopra un soffá rimpetto la finestra delle colline, osservando le nubi che passeggiavano per l’ampiezza del cielo. — Vedi — mi disse — quell’azzurro profondo! — Io le sedeva vicino muto muto, con gli occhi fissi su la sua mano, che tenea semichiuso un piccolo libro. Io, non so come...; ma non mi avvidi che la tempesta cominciava a muggire, e il settentrione atterrava le pianti piú giovani. — Poveri arbuscelli! — esclamò Teresa. Mi scossi. S’addensavano le tenebre della notte, che gli spessi lampi rendeano piú cupe. Pioveva..., tuonava. Di lá a non molto mi accorsi che la stanza era giá illuminata e le finestre stavano