Pagina:Foscolo, Ugo – Prose, Vol. I, 1912 – BEIC 1822978.djvu/139

Da Wikisource.

lettera xxxviii-xxxix 133


Teresa, lasciandomi su la porta del giardino: — Addio — diss’ella; e, rivolgendosi dopo pochi passi...: — Addio. —

Io rimasi estatico. Avrei baciate l’orme de’ suoi piedi... Fendeva un suo braccio, e i suoi neri capelli svolazzavano mollemente; ma poi... appena appena il viale e la fosca ombra degli alberi mi concedevano di veder ventilare da lungi le sue bianche vesti; e, poiché l’ebbi perduta, tendeva l’orecchio, sperando di udir la sua voce...

Partendo, mi volsi con le braccia aperte, quasi per consolarmi, all’astro di Venere. Era anch’egli sparito.

LETTERA XXXVIII

15 maggio.

Ch’io la veda sempre, o non piú... mai! Il timor di non rivederla mi desta: divorato da un sentimento profondo, ardente, smanioso, balzo dal letto al balcone e non concedo riposo alle mie membra nude, aggricciate, se prima non discerno su l’oriente un raggio di giorno. Corro palpitando al suo fianco, e... stupido! soffoco le parole e i sospiri; non concepisco, non odo: il tempo vola, e la notte mi strappa da quel soggiorno di paradiso. Ahi lampo! rompi le tenebre, splendi, passi, ed accresci il terrore e l’oscuritá...

LETTERA XXXIX

16 maggio.

E penso: — È pur vero che questa donna esista qui, in questo basso mondo, fra noi? — E sospetto assai volte d’essermi innamorato della creatura della mia fantasia.

Perché... e chi non avrebbe voluto amarla anche infelicemente? e dov’è l’uomo così avventuroso, col quale io degnassi di cangiare questo stato mio lagrimevole? Ma com’io