Pagina:Foscolo, Ugo – Prose, Vol. I, 1912 – BEIC 1822978.djvu/175

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lettera liv 169


percuoti;... ma lasciami le mie lagrime, il mio amore, la mia Teresa...

Lorenzo, io deliro. Tu vedi come la mia vantata tranquillitá è simile alla breve calma d’un uomo che agonizza. E pure sento, e ancor parmi d’udire una voce, non so se uscita dal cielo o dal profondo dei sepolcri, che acutamente mi grida: — Vieni! — Sí: fiacco, languente e riarso, abbisogno di quiete, di riposo... e di eterno riposo! Ma perché la morte, tanto desiata, non vola pietosa a liberarmi? So che dovrei attendere gli ordini della provvidenza; ma, quando io spiro naturalmente, Dio non mi comanda di lasciar la vita... Ei me la toglie! E, qualor me la rende funesta, disperata, insoffribile, non è lo stesso che comandarmi ch’io me ne spogli?... È un diritto sacro di natura il cercare il proprio benessere e fuggire il male. O Lorenzo! questi forse sono sofismi ed orribili bestemmie; ma l’intelletto mio offuscato non vede, non comprende, non ascolta che il proprio cuore e la sua passione.

E cosí, come io ti diceva, mi sembrava d’esser tranquillo. Ho scorso anche con insolita curiositá le contrade piú popolose ed allegre. È amenissimo il paese, e famoso poi, come tu sai, pei suoi portici, le sue torri e l’antico suo liceo. Dopo lungo passeggio, mi sono trovato, su l’imbrunire della sera, in un sito delizioso ed alquanto elevato, sparso qua e lá di spaziosi arbori ed antichi. Ove, s’io non m’inganno, si stende nel mezzo un largo piano, circondato d’altissimi abeti e di frondose querce. La vista soave della biondeggiante pianura e delle vicine collinette rallegra insieme ed avviva. Qui si raccolgono pacificamente i cittadini; e quale assiso sui lunghi sedili di pietra, e chi sdraiato in seno dell’erbe o sotto i mormoranti rami d’una quercia o su la riva d’un limpido e basso ruscello, gode tranquillo l’aura vezzeggiarne e fresca della sera. Il sito vien detto la «Montagnola». Spirava un vento dolce dolce che, fischiando fra le branche degli arbori, agitava piacevolmente le fronde. Era il cielo sereno: scintillavano di vaga luce le sparse stelle, e la tacita luna ignuda passeggiava l’emisfero, riflettendo il suo queto raggio sull’erboso terreno. Avresti veduto le gaie fanciulle adagiarsi soavemente sul braccio de’ loro giovani innamorati e sospirar sommessamente d’amore. Quivi una ninfa voluttuosa, vestita no, ma vagamente velata i suoi fianchi... Ma quali cose, o Lorenzo, ti vo giammai descrivendo? Ah, l’aspetto del piacere è doloroso al cuore d’un infelice! Noiato quindi delle umane frivolezze, trassi il mio piede lá