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ultime lettere di jacopo ortis 279


per evitare il pericolo d’innamorarmi» (ecco la tua solita antifona), mi commettessi alla discrezione di questa ciurma cerimoniosa e maligna.

Padova, 23 dicembre.

Questo scomunicato paese m’addormenta l’anima, noiata della vita. Tu puoi garrirmi a tua posta: in Padova non so che farmi. Se tu mi vedessi con che faccia sguaiata sto qui scioperando e durando fatica a incominciarti questa meschina lettera! Il padre di Teresa è tornato a’ colli Euganei e mi ha scritto: gli ho risposto, annunziandogli il mio ritorno; e mi pare mill’anni.

Questa universitá (come saranno, purtroppo, tutte le universitá della terra!) è per lo piú composta di professori orgogliosi e nemici fra loro e di scolari dissipatissimi. Sai tu perché fra la turba de’ dotti gli uomini sommi son cosí rari? Quello istinto ispirato dall’alto, che costituisce il genio, non vive che nella indipendenza e nella solitudine, quando i tempi, vietandogli d’operare, non gli lasciano che lo scrivere. Nella societá si legge molto, non si medita e si copia: parlando sempre, si svapora quella bile generosa, che fa sentire, pensare e scrivere fortemente: per balbettar molte lingue, si balbetta anche la propria, ridicoli a un tempo agli stranieri e a noi stessi: dipendenti dagl’interessi, dai pregiudizi e dai vizi degli uomini fra’ quali si vive, e guidati da una catena di doveri e di bisogni, si commette alla moltitudine la nostra gloria e la nostra felicitá: si palpa la ricchezza e la possanza, e si paventa perfino di essere grandi, perché la fama aizza i persecutori, e l’altezza di animo fa sospettare i governi, e i principi vogliono gli uomini tali da non riescire né eroi, né incliti scellerati mai. E però, chi in tempi schiavi è pagato per istruire, rado o non mai si sacrifica al vero e al suo sacrosanto istituto; quindi quell’apparato delle lezioni cattedratiche, le quali ti fanno difficile la ragione e sospetta la veritá. Se non ch’io d’altronde sospetto che gli uomini tutti sieno altrettanti ciechi, che viaggino al buio, alcuni de’ quali si schiudano le palpebre a fatica, immaginando