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ultime lettere di jacopo ortis 303


noiosissima), e me ne stava lí al fresco spensieratamente, come se avessi giá desinato. Voltando la testa, mi sono avveduto di un contadino che guardavami bruscamente.

— Che fate voi qui?

— Sto, come vedete, riposando.

— Avete voi possessioni? — percotendo la terra col calcio del suo schioppo.

— Perché?

— Perché?... perché? Sdraiatevi sui vostri prati, se ne avete, e non venite a pestare l’erba degli altri! — E, partendo: — Fate ch’io, tornando, vi trovi! —

Io non mi era mosso, ed egli se n’era ito. A bella prima, io non aveva badato alle sue bravate; ma, ripensandoci... «Se ne avete»! E, se la fortuna non avesse conceduto a’ miei padri due passi di terreno, tu m’avresti negato anche nella parte piú sterile del tuo prato l’estrema pietá del sepolcro! Ma, osservando che l’ombra dell’ulivo diventava piú lunga, mi sono ricordato del pranzo.

Poco fa, tornandomi a casa, ho trovato su la mia porta l’uomo stesso di stamattina.

— Signore, vi stava aspettando: se mai... vi foste adirato meco, vi domando perdono.

— Riponete il cappello: io non me ne sono giá offeso. —

Perché mai questo mio cuore nelle stesse occasioni ora è pace pace, ora è tutto tempesta?

Diceva quel viaggiatore: «Il flusso e riflusso de’ miei umori governa tutta la mia vita». Forse un minuto prima il mio sdegno sarebbe stato assai piú grave dell’insulto.

Perché dunque abbandonarci al capriccio del primo che ne offende, permettendo ch’egli ci possa turbare con una ingiuria non meritata? Vedi come l’amor proprio adulatore tenta con questa pomposa sentenza di ascrivermi a merito un’azione, che è derivata forse da... chi lo sa? In pari occasioni non ho usato di eguale moderazione: è vero che, passata un’ora, ho filosofato contro di me; ma la ragione è venuta zoppicando, e il pentimento, per chi aspira alla saviezza, è sempre tardo. Ma né io