Pagina:Foscolo, Ugo – Prose, Vol. II, 1913 – BEIC 1823663.djvu/101

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varianti 95

p. 48, I. 1, Z e L, Michele sospettò di

»l. 3, Z e L, molte ne

»l. 6, Z e L, aveva letto

»l. 9, Z e L, bensí sparsi

»l. 9-10, Z e L, finita, narrando per filo i casi di Lauretta e gli aveva scritti con istile men passionato.

»l. 12-13, L, e quindi scriveva per necessitá di sfogarsi.

»l. 19, Z e L, I frammenti sovra scritti gli ho trascelti da’ fogli stracciati, ch’esso

»l. 20-32, Z e L, di nessun conto, gittati sotto al tavolino; e a’ quali ho probabilmente assegnato le date. Ma il passo seguente, non so se suo o d’altri quanto alle idee, bensí di stile tutto suo, era stato da lui scritto in calce al libro delle Massime di Marco Aurelio, sotto la data 3 marzo 1794; e poi lo trovai ricopiato in calce all’esemplare del Tacito bodoniano sotto la data 1 gennaro 1797, e, presso a questa, la data 20 marzo 1799, cinque di innanzi ch’egli morisse. Eccolo:
«Io non so né perché venni al mondo, né come, né cosa sia il mondo, né cosa io stesso mi sia. E, s’io corro ad investigarlo, mi ritorno confuso d’una ignoranza sempre piú spaventosa. Non so cosa sia il mio corpo, i miei sensi, l’anima mia; e questa stessa parte di me, che pensa ciò ch’io scrivo, e che medita sopra di tutto e sopra se stessa, non può conoscersi mai. Invano io tento di misurare con la mente questi immensi spazi dell’universo che mi circondano. Mi trovo come attaccato a un piccolo angolo di uno spazio incomprensibile, senza sapere perché sono collocato piuttosto qui che altrove, o perché questo breve tempo della mia esistenza sia assegnato piuttosto a questo momento dell’eternitá che a tutti quelli che precedevano e che seguiranno. Io non vedo da tutte le parti altro che infinitá, le quali mi assor bono come un atomo».
Poiché in quella notte del 20 marzo ebbe ripassato al tutto i suoi fogli, chiamò l’ortolano e Michele perché glieli sgomberassero da’ piedi. Poi li mandò a dormire. Pare ch’esso abbia vegliato l’intera notte; perché allora scrisse la lettera precedente, e sul far del giorno andò a destare il ragazzo, commettendogli che procacciasse un messo per Venezia. Poi si sdraiò tutto vestito sul letto, ma per poca ora; da che un villano mi disse d’averlo alle 8 di quella mattina incontralo su la strada d’Arquá. Prima di mezzodí era tornato nelle sue stanze. V’entrò Michele a dire che il messo era li pronto; e lo trovò seduto immobilmente e come sepolto in tristissime cure: s’alzò, si fe’ presso alla soglia di una finestra, e, standosi ritto, scrisse sotto la stessa lettera, a caratteri quasi illeggibili: