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delle ultime lettere di iacopo ortis 119


reranno a sedurre com’esso le vergini, né potranno pentirsi com’esso. E quel misto di mortale e di angelico, che ha la sua Giulia, giustifica le colpe insieme e le virtú di lei, tanto vera è l’unione della schietta natura e dell’ideale in quel divino carattere; ma non giustifica mai l’essersi lasciata (userò due frasi dell’Ortis) «contaminare dalle braccia» di sí misero «animale umano». Ecco donde deriva quel non so che di «romanzesco incredibile», che Rousseau credeva pure di avere scansato: se non che vedesi chiaramente che il giusto, ma inopportuno desiderio di sfoggiare la sua facondia, l’ha ingannato; e pare che innanzi tratto avesse persuaso se stesso che le belle massime, eloquentemente espresse e riscaldate da molta passione, bastino a santificare le azioni di chi le detta. Intanto la doviziosa, elegante, affettuosa, ma calcolata eloquenza dell’autore traspare sempre da quelle lettere, che dovevano essere scritte nativamente da quegli svizzeri provinciali1, e adesca il lettore alla meraviglia, e lo svia dal cuore de’ personaggi; innalza la sua ragione a ideali contemplazioni di perfezione morale, in guisa che, benché il libro sia pieno di sentimenti naturali e di schiette pitture dell’umana societá, non trasfondono in chi legge né tanto né si profondo né sí lungo calore, da obbligarlo a meditare sovra le altrui e sovra le proprie passioni. E vuolsi distinguere «calore» da «fiamma»: il primo è dote di molti antichi scrittori e di tutti i primitivi, come la Bibbia ed Omero; e la seconda è dote moderna, per lo piú francese, specialmente in questi ultimi anni: onde certi romanzi, e anche le opere storiche uscite recentemente, furono da taluni chiamati «racconti infiammati di metafisica, che abbagliano e si risolvono in fumo». I primitivi scrittori avevano men libri da imitare e meno lettori sazievoli, de’ quali bisogna oggi consultare i discordi giudizi, e adulare il loro capriccio di novitá, e avere finanche rispetto alla fretta con che percorrono un libro. Gli antichi scrivevano le cose come le vedevano; esprimevano il senso, né piú né meno, che gli oggetti eccitavano nella lor anima; gli abbellivano de’ soli colori che ricavavano dalla propria immaginazione; ne desumevano sentenze ovvie e dirette, che sono quasi sempre le piú utili e le piú vere; esponevano le loro idee

  1. Nelle sue Confessioni, ove parla della seconda parte dell’Eloisa, se ne compiace come «d’un chef d’oeuvre de diction».