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delle ultime lettere di iacopo ortis 149


solo, la progressione lenta, invisibile, e tutto ad un tratto terribile dell’amore? e non avrebbe forse anche guastato il contrapposto della serena felicitá con la quale Werther empie di gioia i lettori, e della muta costernazione con che poi gli atterrisce? Togliendo in un subito il velo, che fin allora non lasciava al tutto discernere l’anima del suicida, l’autore doveva spargere ei medesimo il lume necessario a chi voleva pur vederla. All’autore italiano può essere ascritto l’inconveniente contrario. Lascia i lettori a se soli. La narrazione di Lorenzo non li aiuta, se non di qualche congettura, e di rado. Descrive sempre la vita esteriore dell’amico suo, azioni comuni, spesso minime, di giorno in giorno, d’ora in ora, e che a taluno parrebbero indifferentissime; riferisce discorsi tronchi, e come gli udí o li riseppe; ricopia frammenti come li trovò, e non s’attenta d’accertare le date in cui furono scritti. Finalmente nelle scene piú estese e piú commoventi racconta i fatti con fede e con diligenza di testimonio; ma addossa a chiunque gli ascolta l’obbligo di desumere con la propria penetrazione le cagioni morali che li produssero. Aggiungesi la lentezza e la calma dello stile di quel ragguaglio, discordi dall’impeto delle lettere dell’Ortis; cosí che si crederebbe che appunto nell’occasione, in cui l’autore doveva piú riscaldare e illuminare gli spettatori e precipitare con tragica rapiditá la catastrofe, siasi inavvedutamente appigliato a metodo atto a stancarli. Ma gli spettatori, non che stancarsi, s’avveggono che oramai la disperazione vince nell’Ortis l’orror della morte, e stanno piú attenti sovr’esso. I sentimenti profondi e le riflessioni, che essi aveano raccolto nel principio e nel progresso del libro, ogni volta che l’autore levava quasi del tutto il velo dall’animo del suicida e lasciavalo ricadere, si riaffollano nel pensiero degli spettatori, ora ch’essi preveggono inevitabile la catastrofe, che aveano tante volte creduto di veder terminata. Non si può, né si voleva atterrirli; bensí lasciare che essi distinguano le radici e gli ultimi effetti della inveterata disperazione. Dopo la lettura del Werther, un giovane si rimarrá confuso di muta costernazione, e di tal crepacuore, che non gli concederá di riflettere. Dopo la lettura dell’Ortis, il giovane, assuefatto dal libro a malinconiche riflessioni, le prolungherá con men cupa e forse piú pericolosa tristezza. Da che Werther sente la sciagurata necessitá di morire, sino all’ora ch’ei vi si delibera, corrono da quindici in venti giorni, e quattro dalla deliberazione alla morte. D’allora in poi i suoi sentimenti