Pagina:Foscolo, Ugo – Prose, Vol. II, 1913 – BEIC 1823663.djvu/188

Da Wikisource.
182 v - scritti e frammenti vari


Ma io scrivo a te, e non alla ippocondriaca filosofessa, che comincia finalmente a moralizzare... e ne appello ai vecchi amici di casa, tornati nella grazia di Madonna dopo l’ingrato abbandono... Cura per altro di non nimicartela. Le antiche galanti sono per lo piú di buon cuore, e cercano per le altre quello che hanno perduto con la giovinezza fuggitiva.

Ascolta. Le donne belle sono nate per amare e per essere amate. E tu forse mi dici sorridendo: — Lo so meglio di te. — Bada; ancora non t’avvedi che mille basse passioni e il cieco delirio dell’amore turbano quasi sempre le delizie del piacere. Imita la celeste Temira. A questa sacerdotessa di Venere ho consacrato le primizie della mia gioventú. Ella amava le buone qualitá delle donne, e sfuggiva senza maldicenza i lor vizi. Ammirava in taluna lo spirito, in tal altra il cuore, in questa la gioventú, in quella i vezzi, ed ammirava tutti questi doni in se stessa... Ma non n’era avara per questo. Viveva e lasciava vivere. Il mistero apriva e chiudeva le cortine del suo letto: — il mistero, intendi? — Era amante per cinque giorni, ma amica per tutta la vita.

Era un dopopranzo d’estate. Ella stava ignuda sopra il suo letto. Appoggiava il gomito sui guanciali, e la testa alla palma della mano. Io le giaceva vicino ancora anelante, e appena uscito dagli arcani ove la dea mi aveva iniziato. Mi accarezzava scherzando; ed io alzava di tratto in tratto la testa e la baciava, quasi per ringraziarla, libando dalle sue labbra i respiri, per i quali ella rinveniva a poco a poco dalla sua voluttuosa agonia. Il desiderio intanto, calmato ma non estinto, mi porgeva il nettare del piacere; ed io lo assaporava a piccoli sorsi. Le mie mani e i miei sguardi erravano qua e lá estatici su quelle bellezze, che l’impeto della passione m’avea dapprima mostrato confusamente. La sua bocca umida e socchiusa, la fisonomia passionata, gli occhi piú azzurri che mai, nuotanti in un languore voluttuoso, le guance impallidite e rugiadose di sudore, le chiome sparse in onde dorate su le braccia, su le spalle e nel petto, le poppe lievemente sommosse dai palpiti del cuore... Eterno Iddio! perché hai scolpito cosí tenacemente nella memoria la felicitá, che tu, tu... m’hai rapito per sempre?